Le invasioni barbariche, il medioevo e il rinascimento

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Lunedì 5 marzo, ci siamo svegliati, come di consueto abbiamo iniziato la nostra solita settimana come se niente fosse, come tutti i giorni nella frenesia degli impegni. Ci siamo svegliati, ma oggi il mondo, il nostro mondo è diverso. Certo il sole è sorto, ma dopo tanti anni non è sorto il sole dell’avvenire.

Fino a ieri credevamo che la nostra idea di società e di stato fosse giusta.
Un’idea nata a metà dell’800 e poi sviluppatasi nei molti decenni successivi, nata per essere democratica e non rivoluzionaria, fondata su un adeguato sistema di regolamentazione delle imprese private nell’interesse dei lavoratori, dei consumatori e delle aziende di ridotte dimensioni; in un esteso sistema di sicurezza sociale finalizzato a limitare le conseguenze della povertà e a proteggere i cittadini dalla perdita di potere di acquisto a causa della disoccupazione o delle malattie. Un’idea fondata anche sul welfare, sull’educazione, sulla tassazione progressiva, sulla tutela dell’ambiente, su posizioni progressiste nella visione di società e a sostegno delle istituzioni internazionali. Questa visione ha continuato a ispirarci anche quando l’oscurantismo fascista è  diventato padrone, che si è rinvigorita e ha trovato nuove e solide basi nell’antifascismo, nella resistenza. Una visione che però ha perso la forza delle idee e degli ideali, si è attorcigliata in un vortice di scissioni e frammentazioni, di posizionamenti, di potere  relativo: si è insomma perso di vista l’obiettivo. In tutto ciò abbiamo perso di vista i nostri cittadini, il nostro riferimento e senza di loro che senso può avere il pensiero socialdemocratico e liberale? Questa domanda ce la dovremmo porre tutti, tutti noi
cittadini che crediamo ancora in quegli ideali socialisti e democratici, tutti noi che oggi ci siamo svegliati scoprendoci minoranza.

Ecco oggi sono scesi su di noi i barbari e non lo dico per offendere, lo dico per sottolineare la diversa visione del mondo, i diversi approcci alle politiche e al modo di fare politica.

Oggi però credo sia sentimento comune, oltre alla sconfitta, quello di sentirsi persi, di non capire perché, anche alla luce di un cocente ridimensionamento, noi oggi riteniamo ancora questa nostra visione un’opzione valida, anzi la migliore. E allora domandiamoci perché ci siamo così discostati dai nostri ideali di società e di priorità e perché non abbiamo più tenuto per mano i nostri elettori. A questa invasione barbarica noi potremmo reagire in maniera differente: perseverare nelle nostre posizioni come quel sovrano tiranno che negli ultimi 200 anni abbiamo cercato di combattere; potremmo optare per un’illusione, nella creazione del nostro personale Impero Romano d’Oriente, splendido ingannatore riflesso di una luce che ovunque si spegne; o potremmo, con molta umiltà, calma e fierezza scivolare nel nostro medioevo.

Nostro medioevo perché la forza del governo, il concetto di sovranità stessa sarebbe e sarà molto diverso, quasi irriconoscibile per noi socialisti e democratici. Un medioevo che però dovrà essere per noi operoso, un luogo, un momento per avere tempo di pensare, di interrogarci per chiederci chi siamo diventati, dove siamo finiti.
Potremmo anche però scegliere di mollare, di smettere di essere quelle api operose che lavorano per tutta una colonia, accettare semplicemente di dire “non conviene” e rinnegare noi stessi e la nostra storia non impegnandoci, non sostenendo le nostre idee,
semplicemente guardando come passivi attori di un mondo convulso.

Ma noi non siamo questo, noi dopotutto crediamo ancora nella forza delle nostre idee.

Ed ecco che il medioevo ci servirà per rinascere, per entrare in una nuova fase che, morta la prima e la seconda Repubblica e passata la terza, potrà renderci attori e protagonisti di una quarta che ridia vigore a quegli ideali oggi sopiti, ma che racchiudono intrinsecamente dentro di sé la forza dell’innovazione e della giustizia.

Il nostro rinascimento potrà avvenire solo se avremo la forza di condannare le nostre azioni degli ultimi anni quando abbiamo prediletto, anche se in buona fede, non le classi popolari, non le classi operaie, non il ceto medio, ma gli interessi di pochi nella speranza che con il segno più davanti agli indicatori del PIL, della produzione industriale, del lavoro a tempo indeterminato, che però viene percepito come ancora più fragile, anche i cittadini si sentissero meglio. No, questo non è avvenuto, abbiamo smesso di essere un partito popolare, un partito del popolo e i cittadini, il nostro popolo, giustamente ci hanno salutato.

Abbiamo discusso internamente su questioni per le quali non doveva esserci discussione, operando scelte di mediazione, per garantire le sensibilità delle varie posizioni interne. L’effetto è stato quello di non accontentare nessuno e soprattutto di renderci poco
credibili perché abbiamo rinnegato la forza dei nostri ideali.

La forza dei nostri ideali è invece quella che deve guidare le nostre scelte politiche: noi abbiamo ideali chiari, abbiamo bene in mente una visione di società, di paese e di Europa.
Dobbiamo operare una cesura con il recente passato e porre dinanzi a tutto proprio
questi ideali che sono il nostro DNA e non dobbiamo più scegliere il compromesso al ribasso per la tranquillità interna o per una divisione del potere tra i diversi animi dei vari territori. La colpa non è di uno, di un segretario, di un singolo partito, ma di
tutti perché in crisi è entrato tutto il nostro mondo culturale di riferimento.

Allora qui noi siamo chiamati ad operare diverse scelte.

Riprendere in mano gli ideali e le idee per cui siamo nati, dar loro la forza dell’attuale, legarli alla realtà e non alla mera ideologia. La nostra forza è stata quella di essere attuali, di saper dare risposte ai problemi dei tempi, di saperci innovare e questo ci è
mancato negli ultimi anni.

Sostenere con forza il progetto europeo, un’Europa che però sia dei cittadini, un’Europa che non sia legata al pareggio di bilancio e al rispetto dei parametri economici. Un’arena politico-sociale che parli di equità e solidarietà reale tra gli stati.

Ripartire dai lavoratori e dalle loro necessità per risolvere le difficoltà, la grande incertezza e l’insicurezza, male di questo tempo.

Fare politiche che portino ad una redistribuzione delle ricchezze, perché è giusto voler aspirare a una condizione migliore, è giusto voler vivere e non sopravvivere.

Pensare agli anziani, ma anche ai futuri anziani eliminando fastidiosi e ingiusti privilegi che sono quanto di più distante dalla nostra cultura.

Immaginare un futuro per l’Italia (e l’Europa) ed essere in grado di disegnarlo, di indicare una direzione che profumi di futuro e di possibilità. Iniziare a guardare al nostro territorio, a una equità territoriale e a rispettare l’ambiente.

Delineare le nostre politiche su temi che erroneamente abbiamo ritenuto distanti o non nella nostra orbita, come sicurezza e immigrazione, sostenendo con forza il nostro pensiero di uguaglianza, ma mantenendo fermo il timone della giustizia e del rispetto delle regole.
Sostenere la cultura, in tutti i suoi aspetti, compresa la cultura popolare, le tradizioni, i nostri usi e costumi perché è sbagliato perdere la propria identità.
Smettere di fare politiche basate su benefici una tantum. Si deve avere la forza di compiere politiche strutturali. Sostenere la scienza, lo studio, la ricerca e la loro condivisione con gli altri paesi europei.

Mettere al centro di ogni progetto o idea i giovani, una visione futura per loro, ascoltarli nei loro desideri e preoccupazioni, insegnare loro, accompagnandoli, i nostri valori, e perché lottare per questi, sostenerne la forza e non darli per scontati. Non abbiamo insegnato, ma solo propagandato.

Non siamo finiti, anzi. Oggi più che mai riteniamo necessario riprendere forza perché queste elezioni più che averci avvilito ci hanno preoccupato.
Il Partito Democratico è nato per essere la casa di questa cultura politica, socialista, liberale e democratica. Una casa per tutti e questo deve ritornare ad essere. Apriamo quindi le porte a chi vuole aiutarci a ricostruire questa casa sulle fondamenta iniziali evitando di porre veti e le ostilità personali.
Abbandoniamo fin da subito le fughe di correnti, gruppi, aree di pensiero. Riprendiamoci la nostra struttura territoriale e capillare quale primo e principale luogo di incontro, condivisione e confronto.
Ritorniamo in mezzo al nostro popolo, ad ascoltarlo, a essergli vicino, a coinvolgerlo nelle scelte.

Il nostro obiettivo è ben chiaro, dobbiamo solo ritrovare noi la consapevolezza.
Buon lavoro e buon rinascimento a tutti noi.

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