Grazie Enrico.

Vent’anni fa ci lasciava il nostro Sindaco, e forse oggi, a distanza di tanti anni dovremmo riscoprire quello spirito che portò Faenza a volersi bene.

Era una mattina di sole il 1° maggio del 1999, avevo 15 anni, e come spesso accadeva mi incontrai con il mio amico Flavio per fare un giro in bici per Faenza e andare poi insieme alle celebrazioni in Piazza del Popolo.

Mentre pedalavamo mi accorsi di diversi gruppi di persone che davanti alle chiese, davanti ai bar, per strada si fermavano a gruppetti e dopo poche parole abbassavano lo sguardo, uno sguardo triste e perso, l’unica parola che riuscii a percepire era “Sindaco”. Qualcosa non andava.

Arrivammo in Piazza e la consueta gioia colorata da garofani rossi non c’era. Ci avvicinammo a un gruppo di persone che parlavano tra loro e capimmo: il Sindaco era morto, il nostro Sindaco era morto.

Nei giorni successivi la città era persa, affranta dal dolore, dal dispiacere; la notizia rimbalzò su tutti i Tg nazionali e poi venne il giorno del funerale.

Il Duomo gremito di gente, persone lungo le scalinate, in piazza, la torre dell’orologio che suonava a lutto: la città si stringeva per piangere e salutare il suo amato Sindaco. Finita la messa, partì il corteo per accompagnare Enrico fino al cimitero, un lungo corteo con i colori dei Rioni, con le tante corone di alloro di quelle realtà amate da Enrico e che lo amavano, ma soprattutto molti cittadini. Il corteo si snodò lungo corso Matteotti e ricordo ancora l’orgoglio di poter salutare il mio Sindaco portando una corona di alloro, insieme agli Scout faentini.

Oggi sono passati 20 anni da quel giorno, dal giorno in cui perdemmo un grande faentino. Io a 15 anni non lo conoscevo, non conoscevo la sua storia, ma sentivo e percepivo il sentimento di tutti gli altri faentini un po’ più grandi: Enrico De Giovanni aveva fatto di Faenza una vera comunità, una comunità che si muoveva in una direzione, verso un obiettivo.

De Giovanni veniva dal mondo della cooperazione, e non da quello stereotipo di cooperazione che ha in mente chi critica e non costruisce, ma la vera cooperazione, lavorare insieme, farsi forza, seguire uno scopo comune. E in quel mondo fece molto, dando futuro e speranza a molte realtà e a molte famiglie.

Persona dotata di grande misericordia e compassione, De Giovanni era amico degli ultimi, a loro si avvicinò, ai disabili, ai tossicodipendenti, alle periferie e li aiutò, camminò con loro.

E questo spirito di cooperazione lo portò nel mondo della politica quando decise di impegnarsi per la comunità tutta, quando decise di impegnarsi in politica proponendo una forza politica che fino allora era stata inedita, una coalizione, una cooperazione per gli interessi dei cittadini, un’idea che poi divenne realtà anche nel resto d’Italia.

Ecco, a 20 anni da questo addio, in questo momento in cui si alimenta l’odio e la diffidenza, quando vengono sdoganate parole pericolose e pesanti, quando l’interesse personale prevarica l’interesse di tutta la comunità, dovremmo ripartire da quella forza che spinse Enrico a voler guidare la nostra città: volersi più bene.

De Giovanni ha lasciato in eredità una città socialmente coesa, con un senso complessivo di comunanza, in cui i vari protagonisti della vita cittadina hanno sperimentato e fatto propria la consuetudine di confrontarsi per le scelte dei singoli e della comunità.

Ed è questo lo spirito da cui noi, che oggi ci impegniamo in politica, dovremmo farci guidare, soprattutto all’interno delle forze democratiche e progressiste. Oggi dovremmo ricordare che l’interesse generale, l’interesse della città, esiste perché trova origine e tiene conto degli interessi dei cittadini.

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