Il mio intervento alla Direzione Provinciale del PD il 3 ottobre

Dopo le elezioni politiche quale strada prendere?

Dopo la sconfitta elettorale alle politiche del 25 settembre, come è giusto che sia la Direzione Provinciale del Partito Democratico si è incontrata per discutere il risultato del voto. A distanza di tempo voglio condividere il mio intervento perché penso abbia alcuni spunti che oggi, dopo le primarie possano essere attuali

Abbiamo perso, ma siamo qui. Ed è questa la nostra forza la possibilità di esserci e avere un luogo di confronto e discussione. Di questo, che ci contraddistingue, dobbiamo essere fieri.

Ma appunto abbiamo perso e dobbiamo chiederci il perché, dobbiamo chiederci perché molti che ci votano lo fanno senza entusiasmo, per esclusione, per responsabilità, dobbiamo chiederci perché si è incrinato e anche a volte rotto il legame con gli elettori e il popolo.

Io non ci sto ad assistere inerme ad una inesorabile fine, anche solo per motivi anagrafici, non ci sto ad accontentarmi di prendere un 20%, non ci sto a dire che poi la destra non ha guadagnato così tanti voti. Noi abbiamo perso, ma sono fermamente convinto che ora più che mai serva per il bene di tutti, paese e cittadini, un partito socialista, democratico e progressista. Dobbiamo preoccuparci della grande disaffezione al voto, del pesante astensionismo.

Il dramma è che non siamo più capaci di rappresentare quel popolo dei luoghi trascurati, dei ceti abbandonati e delle identità tradite che invece è quello che noi dovremmo rappresentare, tutelare, difendere, far crescere ed essere soprattutto felice. Dobbiamo ritornare ad una realtà per poter poi svolgere il nostro compito.

Ci si avvicina al congresso, giustamente si delineano pensieri e posizioni, ma penso sia errato partire da un nome, che certo potrà dare vigore, ma lascerebbe irrisolte le questioni che è il momento che vengano affrontate, rischiamo di abbandonarci ad un personaggio-fenomeno; così penso che sia limitativo dire “ripartiamo dagli amministratori locali”, perché certo sono la dimostrazione della capacità di governare bene i territori, ma se durante le stesse elezioni vinciamo bene i comuni e nello stesso istante perdiamo male a livello nazionale, questa è l’evidenza che manca qualcosa di più che mai importante.

Fuori da questa stanza c’è un mondo che ci aspetta, giovani, anziani e adulti pronti a ritrovare entusiasmo, pronti ad essere chiamati, ma perché questo avvenga è necessario un cambiamento vero e profondo. Non sono qui a sostenere di cambiare nome, perimetro od altro, perché è facile mutare, ma in fondo rimanere uguali. E noi dobbiamo cambiare, lo dobbiamo a noi stessi, alla nostra storia, al compito che siamo chiamati a svolgere.

Moderatismo e riformismo sono antitetici, il primo ha coinciso sempre con la difesa dello status quo, il riformismo al contrario ha sempre significato il mettere in discussione la situazione economica, sociale e culturale del paese. Il riformismo può e deve essere graduale, ma non può essere moderato. E noi lo siamo diventati, abbiamo smesso di combattere le battaglie per adagiarci nel governismo, nel potere, nell’equilibrio, per accontentare tutti, ma in fondo nessuno. Siamo ingessati, imbalsamati, l’entusiasmo che spinge tanti a mettersi in gioco spesso viene spento da logiche, da dinamiche, dal funzionamento.

Lo strutturalismo rifiuta il concetto di libertà e scelta umana, concentrandosi invece sul modo in cui l’esperienza e il comportamento umano sono determinati da varie strutture. Penso che questo pensiero filosofico sintetizzi quanto siamo: una struttura che a dispetto di chi la guida si auto-preserva, riproponendo dinamiche e modo di funzionare. Al nostro interno e a chi ci guarda da fuori diamo l’idea che lavorare, contribuire con le proprie idee, che la passione non serva, che i risultati siano inutili. L’impressione è che l’unica cosa che conti sia assicurare che tutto rimanga com’è, che nessuno porti stravolgimenti, che per essere determinanti occorra prima accettare dinamiche, gruppi, correnti e adeguarsi a queste, essere cooptato in queste. Si chiede di rinnegare l’identità a favore del compromesso perché tutto sia governabile. Questo non può più essere perché altrimenti lasceremo fuori quel nuovo e quelle energie che invece sono il futuro.

Essere dirompenti, identitari e popolari, non significa non sostenere il governo, non cercare un accordo, essere populisti. Sbagliamo a cercare il governo a tutti i costi, è meglio perdere con le proprie idee che governare con quelle degli altri. Continuiamo a dire di essere disposti a governare anche a costo di tradire la nostra anima che è cosa diversa dal fatto che in politica si deve ricorrere anche al compromesso. I compromessi nobili sono quelli in cui si tiene salda la propria identità, non la si perde.

Penso sia necessario fermarsi un attimo, ragionare e coinvolgere per poi poter, come dice chiaramente Romano Prodi, riformare le basi ideologiche e programmatiche del PD Se non lo faremo non risolveremo i nostri problemi. Dobbiamo essere franchi, risolvere questioni latenti, mai sopite e solo zittite. Aggiungo che occorre inderogabilmente un cambiamento nel modo di funzionare, di coinvolgere, di selezionare la classe dirigente, valorizzando le energie e i contributi e non censurare qualsiasi pensiero che sia diverso dallo status quo perché rimarremo sempre meno, arrabbiati e cupi, senza propulsione, senza energia, senza allegria.

Dobbiamo tornare ad essere vivi, dimostrare che abbiamo imparato, che la forza della nostra comunità è anche questa: quella di mettersi in gioco, interrogarsi e correggersi. Serve la volontà per interessarci e affrontare prima di tutto i temi che stanno maggiormente a cuore al nostro popolo, costruendo un progetto che li affronti, trovando poi le soluzioni per il lungo periodo. Non possiamo dirimerci dal parlare di qualcosa perché difficile, divisivo o perché non riusciamo a trovare una quadra interna. Il caro energia, la scuola, i diritti e la cittadinanza, il lavoro, il salario minimo, i redditi di inclusione, l’emergenza climatica, una maggiore giustizia sociale.

Dobbiamo emozionare e condividere un progetto di futuro, di paese, un luogo dove in tanti possano immaginare di vivere nel futuro, un disegno capace di coinvolgere tutti quelli che sono lì fuori che ci aspettano. Non possiamo essere gattopardi. È ora di fare qualcosa, per davvero.

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