Anche quest’anno è proseguita la tradizione di ricordare la grande importanza e l’attualità della poetica di Dante nel giorno a lui dedicato
Il 25 marzo si è celebrato il Dantedì, Giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri, nel giorno in cui, nel 1300, come concordano gli studiosi, iniziò il viaggio nell’aldilà della Divina Commedia. Nella seduta di martedì 28, il Consiglio comunale di Faenza è stato aperto da un momento dedicato a questa ricorrenza, un appuntamento, quella in Consiglio, che ha avuto inizio nel 2021, in occasione del settecentesimo anniversario dalla morte di Dante, grazie all’interessamento e alla partecipazione degli studenti del Liceo Torricelli – Ballardini di Faenza.
Come per lo scorso anno, anche per il 2023, si è voluta mantenere la celebrazione per tenere viva quella passione, la voglia di indagare, studiare e attualizzare il pensiero e la poetica dantesca, non solo in occasione degli anniversari.
Chiara Dalpiaz (indirizzo Classico), Luca Pozzi (indirizzo Scienze Umane), Irene Roncasaglia (indirizzo Scientifico), Sara Scardovi (indirizzo Artistico), Artea Calderoni (indirizzo Scienze Applicate) e Alessandro Carapia (indirizzo Linguistico) sono gli studenti che, coordinati dalle insegnanti Alessandra Neri e Giovanna De Filippo, hanno guidato i consiglieri, la giunta e il pubblico in un percorso con letture da diversi testi del Poeta accompagnandoli con commenti utili a leggere il presente.
Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
Sonetto di Dante Alighieri – Poesia LII delle “Rime”
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio,
sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ‘l disio.
E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:
e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi
Rispuose adunque: “I’ son frate Alberigo;
Dante Alighieri – Divina Commedia – Inferno, Canto XXXIII, 118-135
i’ son quel da le frutta del mal orto,
che qui riprendo dattero per figo”.
“Oh”, diss’io lui, “or se’ tu ancor morto?”.
Ed elli a me: “Come ’l mio corpo stea
nel mondo sù, nulla scïenza porto.
Cotal vantaggio ha questa Tolomea,
che spesse volte l’anima ci cade
innanzi ch’Atropòs mossa le dea.
E perché tu più volontier mi rade
le ’nvetrïate lagrime dal volto,
sappie che, tosto che l’anima trade
come fec’ïo, il corpo suo l’è tolto
da un demonio, che poscia il governa
mentre che ’l tempo suo tutto sia vòlto.
Ella ruina in sì fatta cisterna;
e forse pare ancor lo corpo suso
de l’ombra che di qua dietro mi verna.