In memoria di Corrado Israel De Benedetti

Il ricordo ufficiale nel Consiglio Comunale del 24 gennaio 2023

Il 2 agosto 2022 ci lasciava Corrado Israel De Benedetti, abbiamo voluto ricordarlo in maniera ufficiale nella seduta del Consiglio Comunale perché è necessario, con il venir meno dei testimoni diretti, che la storia e la memoria non si perdano

La sua figura ci esorta ad agire affinché la storia e la memoria non si perdano. E’ sempre più evidente questa necessità con il venir meno dei testimoni diretti, per evitare che l’oblio del tempo che passa faccia dimenticare alle nostre società e alle persone del presente e del futuro, fin dove è riuscita a spingersi la violenza dell’uomo, e per evitare che le mostruosità della storia possano ripetersi.

La storia è fatta dai grandi avvenimenti, ma anche e soprattutto dalle tante storie di persone normali. Sono le loro testimonianze, le esperienze di vita, che oggi più che mai possono aiutarci a capire la brutalità di ciò che avvenne.

Corrado Israel de Benedetti, giovane ragazzo ebreo ferrarese, fu, per la semplice ragione della sua fede, costretto a fuggire per poter vivere. Ed è in questa fuga che si incrocia con la nostra città, perché proprio a Faenza riuscì a nascondersi insieme alla sua famiglia e a scampare al drammatico destino di milioni di ebrei in tutta Europa.

Corrado Israel nacque a Ferrara nel 1927, la sua come tante altre famiglie era una famiglia italiana, che credeva nel nostro paese, che si impegnò per questo e però fu tradita. Tradita come migliaia di ebrei italiani che nel 1938 furono esclusi dalla società, considerati, per farneticazioni su un presunto concetto razziale, inferiori agli altri. A lui come a tanti altri bambini e come anche al nostro caro concittadino Cesare Moisè Finzi, fu preclusa da un giorno all’altro la frequenza alla scuola pubblica. Suo padre, ufficiale del Regio Esercito, fu congedato perché agli ebrei era impedito avere un incarico pubblico. Ma purtroppo spesso non c’è limite al peggio. La vita dei De Benedetti si incrocia nel quotidiano con i grandi avvenimenti della nostra storia.

Il 25 luglio, alla notizia della caduta di Mussolini erano tante le emozioni, tante le speranze che la guerra finisse, che quel regime di odio terminasse, ma poi arrivò con l’8 settembre la disillusione: si apriva uno dei momenti più cupi di tutta la nostra storia. Le nostre città furono occupate dalle forze naziste e i fascisti si ripresentarono con la faccia ancora più nera e temibile. Inizia per questa e per tante famiglie un incubo nel quale domina l’indecisione su cosa fare, restare o fuggire? Ma fuggire dove? E come?

Alla fine di ottobre il padre decide. Scrive una lettera ad un caro amico di Faenza, conosciuto mentre era comandante della guarnigione a Faenza, il notaio Sciuto, con la preghiera di trovare un posto in città per lui e la sua famiglia. Dopo una settimana dalla nostra città arriva la risposta: partire subito. Tutto è pronto e la partenza è prevista per il 15 di novembre, ma proprio il giorno prima due Carabinieri si presentano a casa chiedendo di Corrado, che viene arrestato e condotto in carcere, insieme ad altri ebrei e oppositori politici. Fu portato in un grande stanzone, dove erano stati tutti radunati e lì sulle prime pareva di trovarsi in una bolgia dantesca con tanti dannati che girano intorno. Undici dei suoi compagni di prigionia furono radunati e fatti uscire, ma solo per essere fucilati. E’ quello che noi oggi conosciamo come eccidio del Castello. Gli altri furono radunati, messi in fila per tre e fatti incamminare passando davanti a militari schierati con i fucili in mano; per fortuna furono fatti proseguire verso la prigione. La vita in cella trascorre nella costante paura di essere deportati come fa loro sapere un compagno di prigionia, il piccolo Faber, che viene dalla Polonia e sa cosa sono i campi di concentramento: posti orribili, ci si va solo per morire. Si ha poi la costante paura che delle bombe cadano sulla prigione che si trova a poca distanza dalla stazione ferroviaria.

Corrado rimase incarcerato fino al gennaio del 1944, quando, grazie alle insistenze della nonna e per accudire la madre malata, gli furono concessi gli arresti domiciliari con l’obbligo di presentarsi ogni giorno in caserma. E così fa per le seguenti due settimane. Poi un giorno la prigione è bombardata e i prigionieri riescono a fuggire. Lui decide quindi che il giorno dopo non si presenterà al Commissariato e nessuno lo cerca. Prende in mano la situazione e pensa che sia, il momento di partire anche lui, con la madre e la nonna, per Faenza, per ricongiungersi alla sua famiglia, nascosta in Corso Mazzini nella casa del notaio.

Ma anche la situazione a Faenza peggiora, la città viene bombardata e le camicie nere sono sempre più attive, sempre più feroci. E’ il momento di spostarsi nuovamente e ciò avviene sempre grazie alla famiglia Sciuto e al dentista ungherese, ma residente a Faenza, Miklos Berger, che gli procura documenti falsi. Vanno verso le campagne. Sono momenti di sconforto: “i rumori e i tonfi delle bombe mi terrorizzano: mi domando perché mi tocca vivere così a 17 anni, con la paura dei tedeschi, dei fascisti e degli aerei alleati. Mi pare di vivere un anno tra parentesi mentre avrei diritto anch’io a godere della gioventù”.

Anche le campagne nei pressi della via Emilia diventano pericolose, il fronte si avvicina e il giogo delle dittature diventa sempre più pressante e quindi sono costretti nuovamente a fuggire, verso i monti, a Zattaglia, in quelle zone dove arriva l’eco che ci sono bande partigiane, sono i compagni di Corbari: una figura da leggenda.

Sono mesi di grande difficoltà per tutti, ma per un ragazzo di 17 anni, ebreo, questo sembra essere un mondo che non lo vuole. “Dopo quella notte di Ferrara mi sembra di sentirmi estraneo a tutto quello che accade intorno a me: i Carabinieri che sono venuti a prendermi, i secondini, il Commissario, tutta questa gente ce l’ha con me solo perché sono ebreo. Io li ricambio con la volontà di sopravvivere ad ogni costo”.

Sono costretti a fuggire anche da Zattaglia, insieme alla famiglia contadina che li ospitava e a recarsi nei pressi del Rio Chiè ed è lì che verso le due del pomeriggio scorgemmo delle figure che dalla strada in alto scendono giù verso di noi. Arrivano! Sono loro, gli inglesi! E’ il pomeriggio dell’11 dicembre del 1944. Siamo liberi! Accanto al volante siede un soldato: è un giovane abbronzato dai capelli rossicci e sulle spalline della divisa porta scritto – Palestine -. Spolvero tutto il mio coraggio per dire – I am a Jew! – quello si stacca la sigaretta di bocca e mi risponde – tu ebreo? Ma dove stare tua famiglia? E qui a Faenza altri ebrei? – Scende dall’auto e mi costringe a portarlo a casa nostra. Tutto trionfante lo presento agli altri, quello si toglie il basco e saluta tutto compunto. Si chiama Yossi, è nato in Polonia, ma ora vive in Palestina in un kibbutz, che è una specie di fattoria dove tutti lavorano i campi, uomini e donne, e non ci sono padroni, ma sono tutti uguali.

Tornati a Faenza iniziano ad arrivare le notizie del drammatico destino di migliaia di ebrei italiani, di milioni di ebrei europei e gli amici soldati palestinesi gli sconsigliano di fidarsi, bisogna lasciare l’Italia. Ora tutte le nazioni daranno una patria agli ebrei. Poi Yossi, il militare gli parla dei giovani, vorrebbe che organizzasse un movimento giovanile per ebrei sionisti. “Io mi metto a ridere, – non vedi che qui a Faenza siamo solo in due, e a Ferrara quando ci torneremo troveremo forse una mezza dozzina di giovani, che movimento vuoi che mettiamo insieme così in pochi? –

E finalmente tornò la pace, la normalità e Corrado Israel si presenta al Liceo Scientifico e il suo nome veniva dopo Agostini, Bigna, Cicognani e non dopo l’ultima zeta ariana.

Nel 1949 Corrado Israel De Benedetti sale in Israele e, come aveva sperato Yossi, inizia un’altra avventura, alla quale dedicherà la vita: quella dell’affermazione della propria identità ebraica, la militanza nel movimento sionista, la ricerca di una nuova vita e di nuove speranze raggiungendo il kibbutz di Ruchama dove vivrà per tutto il resto della sua vita.

La storia di Corrado Israel De Benedetti è la storia di un ragazzo ebreo, una storia che si è ripetuta sei milioni di volte e spesso non ha lasciato testimoni a raccontare. De Benedetti ha potuto raccontarla grazie alla fortuna delle scelte, alla sua determinazione per la vita e grazie a quelle persone giuste che durante quella lunga e buia notte dell’umanità hanno tenuto acceso il lume della giustizia. Ha pubblicato “I sogni non passano in eredità” “Cinquant’anni di vita in un kibbutz” e “Anni di rabbia e di speranze 1938-1949” dal quale provengono le citazioni di questo intervento.

Oggi la nostra città lo ricorda, in un momento ufficiale e solenne, per rendergli omaggio, per eterna riconoscenza.

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