L’Unione si aggiudica un importante finanziamento
Categoria: luoghi
Alla scoperta di Romolo Liverani
Una visita per scoprire alcuni fondali teatrali realizzati da Romolo Liverani
indiana cocco
Ho avuto l’opportunità di recarmi nell’antico Istituto Emiliani di Fognano, un luogo con una storia importante e che conserva dei mirabili esempi di scenografie teatrali realizzate nell’800 da Romolo Liverani per l’istituto stesso.
Romolo Liverani a Faenza è ai più conosciuto per l’immenso dono fatto alla nostra città con i disegni degli scorci e degli angoli della Faenza dell’ottocento, una città che ora non c’è più e che è solo alla sua opera che possiamo ora conoscere e vivere. L’esempio più eclatante è chiaramente il Ponte delle Torri rovinato nel 1842 e del quale il Liverani ci ha lasciato diverse rappresentazioni.
Il “vero” lavoro di Romolo Liverani era però quello di scenografo teatrale e poter vedere le sue opere è stato un immenso dono.
Nel 2022 ricorrono proprio i 150 anni dalla morte del grande artista e questo vuole essere una prima occasione di riscoperta.
Cosa vide Dante a Faenza che possiamo ancora vedere?
Una gita alla scoperta di una Faenza insolita
La mattina del 14 settembre 1321, 700 anni fa, il mondo e Faenza si svegliarono senza Dante Alighieri. Era morto nella notte a Ravenna all’età di 56 anni a causa della malaria.
Non è certo, anche se è molto probabile, che Dante sia venuto a Faenza, sicuramente la conosceva bene e conosceva anche le nefandezze dei suoi abitanti: frate Alberico Manfredi è l’ultimo dannato che incontra all’Inferno.
Faenza agli inizi del 1300 era molto diversa, molto più piccola. Ad esempio la porta di Tebaldello che “aprì Faenza quando si dormia” si trovava in corso Mazzini poco prima della Loggia degli Infantini. Santa Maria Vecchia, Sant’Ippolito, Sant’Andrea (ora San Domenico), San Francesco erano fuori dalle vecchie mura.
Di quella città rimane davvero poco, Faenza si stava preparando a quell’impulso innovatore, culturale e urbanistico, che diede origine all’impostazione della città che conosciamo oggi.
Se Dante venne nella nostra città è probabile che visitò la tomba di San Pier Damiani, morto nel 1072 in odore di santità nel convento di Santa Maria Foris Portam (S.M. Vecchia). Questo, come il convento di Sant’Ippolito (e Lorenzo), erano monasteri Camaldolesi.
La riforma della regola benedettina adottata da San Romualdo, Ravennate e fondatore dell’ordine di Camaldoli, è affine all’idea di chiesa che esprime Dante e San Pier Damiani, anche lui Camaldolese nel convento di Fontavellana, è il protagonista del XXI canto del Paradiso, trovando riferimenti della sua dottrina e dei suoi scritti.
1) Dell’antico convento di Santa Maria Foris Portam, il cui primo riferimento scritto è del 740 DC, rimane solamente il grandioso campanile ottagonale (IX-X secolo) che all’epoca doveva notevolmente spiccare nello skyline. La torre è composta da due strutture, una interna cilindrica ed una esterna ottagonale, che si sorreggono vicendevolmente.
2) Come per il complesso precedente anche a Sant’Ippolito rimane poco, essendo stati la chiesa e il convento rimaneggiati diverse volte nei secoli. C’è però un piccolo gioiello: la cripta del XII secolo, forse la prima chiesa, antecedente al mille e divenuta cripta con la costruzione di un nuovo edificio. La cripta è una struttura davvero particolare, a tratti misteriosa e che stimola una grande curiosità.
3) Il Palazzo del Podestà risale al XII secolo, ma Dante faticherebbe a riconoscerlo. È difficile immaginarsi la struttura originaria della quale rimane praticamente solo il Salone dell’Arengo, inglobato da un lato dal loggiato e dall’altro privato delle restanti parti.
4) San Bartolomeo o Chiesa dei Caduti è un esempio di quell’architettura romanica quasi standardizzata che vide diverse realizzazioni assai simili tra loro e di cui restano questa e l’identica San Lazzaro sulla Via Emilia. Di San Bartolomeo si conosce la data esatta di fondazione, tramandata da un’antica iscrizione: 1209.
5) La chiesetta di San Lazzaro del XI-XII secolo era collegata ad un ospedale che fungeva da lazzaretto per i lebbrosi che entravano a Faenza.
6) La Chiesa della Commenda come appare oggi va datata intorno al 1100 ed era un ospizio per i pellegrini diretti in Terra Santa. Alcuni absidali ancora visibili fanno supporre la precedente esistenza di un piccolo oratorio. Il Borgo, di Sant’Antonino, diventerà Durbecco, da un antico toponimo, nel 1800.
Concludo ringraziando Dante che mi ha spinto in questo viaggio indagando una Faenza misteriosa e assai interessante.
L’affascinante chiesa di Santa Maria Vecchia
Un viaggio nell’affascinante storia della chiesa di Santa Maria Vecchia o Santa Maria ad Nives o Santa Maria Foris Portam
Fin sulla vetta della Torre dell’Orologio
Ho avuto l’occasione di fare una gita fino in cima alla Torre: vi racconto come è andata
Resti di un passato: le vie alle Mura
Un giro in quel che resta di scorci tipici di Faenza, le vie che correvano sopra le antiche mura
Una cosa che mi è sempre piaciuta di Faenza sono le antiche strade che correvano lungo le mura.
Sono sparuti luoghi sopravvissuti all’incedere del tempo e alle esigenze urbanistiche della città.
Riminescenze del nostro passato medievale che hanno un fascino tutto loro.
Via Salita: già vicolo Mura Proietti e nel linguaggio popolare “é viol di Franchi”, per la presenza della società Villa Franchi, tutt’ora esistente. È la via che porta a Largo Portello, dove appunto c’era il portello nei pressi della Rocca.
Via Mura Proietti: data la vicinanza delle mura al Brefotrofio Esposti, detto «Ospedale Casa di Dio» nel XV sec. e «Spedale Proietti» nel XVII sec. «Proietti» dal latino «proicere» «lasciare», «abbandonare» era il cognome dato di solito ai trovatelli a Roma, come a Faenza «Casadio».
Via Mura Capuccine: anche questa in passato via Mura Proietti. Prende il nome dal ritiro delle Suore Capuccine, uno dei tanti ordini soppressi dai francesi nel 1796, si venerava la Vergine del Lume. Il nome popolare, «Mura d’Belléria», deriva da un Circolo, situato in alto sullo Stradone, che forse per la posizione particolarmente arieggiata era detto appunto Bellaria.
Via Mura Gioco del Pallone: il nome deriva dal sottostante sferisterio per il gioco del pallone a bracciale, sport largamente praticato e molto amato dai Faentini nel passato.
Via Mura Torelli: prende il nome da Diamante Torelli, storica eroina faentina durante l’assedio del Duca Valentino nel 1500. Il 20 novembre ricacciò nel fossato un alfiere ed un altro soldato, prendendogli le insegne. Il nome popolare «Mura d’Montecarlo» dovrebbe derivare in contrapposizione alla sottostante via Lapi, «la bassa Italia». Il nome fu inventato da un oste che qui vi aprì il suo esercizio, vie ebbe anche sede la società dei garzoni e macellai detta «Società di Montecarlo».
Via Mura Mittarelli: fu via Mura circonvallazione superiore e prima ancora via Sant’Ippolito e nella parte iniziale via Mura dell’Anconitano. Ed è proprio l’angolo di Sant’Ippolito che ci regala un bellissimo scorcio. Benedetto Mittarelli (1708-1777) fu abate e Generale dei Camaldolesi, che proprio in questa chiesa avevano il loro convento.
Via Mura San Marco: in passato era parte delle Mura di Porta Pia (via Naviglio). Il nome è dato dall’omonima chiesa parrocchiale. Via alle Mura: perché portava da via Terranova, attuale via Nuova e chiamata così perché sorta dall’allargamento murario del quattrocento, alle Mura di Porta Pia.
Via Liverani: prima Mura Carceri e prima ancora Mura San Domenico, per la vicinanza con le vecchie carceri di San Domenico e i terreni dell’ordine religioso. La suggestiva zona delle mura attorno a San Francesco e a San Domenico fu persa con la realizzazione della strada di circonvallazione negli anni ’30. Romolo Liverani (1809-1872), scenografo e pittore di grande valore, è grazie ai suoi disegni che possiamo apprezzare gli scorci della Faenza che fu.
Via Mura Polveriera: uno scorcio del Borgo medievale, del quale dopo le distruzioni belliche poco rimane. Il nome deriva dalla presenza in loco di un deposito di polveri piriche.
Le informazioni sono prese da “Note allo stradario di Faenza” di Giuseppe Beltrani, F.lli Lega Editore, 1970.
Gli scavi al Castello di Rontana
Continua la campagna di scavo promossa dal Prof. Cirelli, archeologo dell’Università di Bologna